À la guerre comme à la guerre

Per capire cosa è successo negli ultimi due mesi bisogna liberarsi di alcuni pregiudizi cognitivi che impediscono di interpretare correttamente quanto è avvenuto e sta avvenendo in questa fase.

Fin dal 5 marzo, al di là delle cortine fumogene, la partita è sempre stata una sola e cioè come riuscire a costituire un governo Lega e 5Stelle, subito o nell’immediato futuro. Tutto il resto è ed è sempre stato un diversivo

Tornando ai pregiudizi che hanno caratterizzato cognitivamente giornalisti, opinionisti, intellettuali e molti politici possiamo individuare alcune categorie che con le loro analisi distorcono quanto sta effettivamente accadendo. Le categorie che abbiamo individuato sono:

  • gli istituzionalisti
  • i provinciali
  • i grillisti
  • i nichilisti
  • gli educati

Gli istituzionalisti sono coloro che attribuiscono tutta la colpa della situazione attuale al sistema elettorale vigente e ritengono che se non si cambierà la legge elettorale tutto resterà come prima. Falso. Le simulazioni hanno dimostrato che con qualsiasi legge elettorale i risultati sarebbero stati del tutto simili. Non c’è tempo e non ci sono le condizioni per fare velocemente una legge elettorale che sarebbe comunque di impianto proporzionalista recuperando, al massimo, quella che nel 1953 venne chiamata legge truffa. Per un maggioritario a doppio turno bisogna cambiare la Costituzione e dopo il referendum del 4 dicembre è difficile riaprire la partita. Il problema non è la legge elettorale, il problema sono gli orientamenti degli elettori. Se si dovesse votare si voterà con la stessa legge e i risultati saranno diversi da quelli del 4 marzo.

I provinciali sono quelli che considerano drammatica la situazione di stallo del nostro Paese dimenticando tranquillamente Germania, Belgio, Spagna ma anche, sotto altri profili, quello che è successo in Inghilterra e negli Stati Uniti. In questo caso non c’è nessuna anomalia italiana perché anche noi dobbiamo affrontare con strumenti istituzionali vecchi e con altrettanto vecchi strumenti concettuali un mondo che sta profondamente cambiando in tutto l’occidente. Niente di drammatico ma tanto da capire e per questo ci vuole tempo.

I grillisti sono quelli che continuano a pensare che i 5Stelle siano un partito/movimento progressista e di sinistra, senza mai, ovviamente portare una sola prova a favore di questa tesi. La motivazione che sono stati votati da molti ex elettori di sinistra non tiene intanto perché al nord gli elettori che si sono allontanati dalla sinistra hanno votato Lega e poi perché la storia, non solo italiana, è piena di esempi in cui il popolo (per definizione di sinistra secondo alcuni intellettuali un po’ superficiali) ha votato per partiti e/o leader di destra. Se poi guardiamo alle storie personali, al modello di governance del partito, ai programmi, alle alleanze europee non c’è nessun elemento fattuale che consenta di considerare i 5Stelle di sinistra. Tanto è vero che lo stesso Di Maio ha sempre confermato che avrebbe preferito di gran lunga un’alleanza con la Lega che sarà stata a suo tempo una “costola della sinistra”, come diceva il lungimirante D’Alema, ma oggi è fortemente e orgogliosamente ancorata a destra. Solo un grillista può pensare che il PD sia eversivo se non sostiene un governo dei 5Stelle perché da un lato l’opposizione è il sale della democrazia e dall’altro non si capisce perché gli altri non siano (stati) eversivi.

I nichilisti sono quelli che sostengono che in questi mesi non è successo nulla di nuovo e che è stato tutto tempo sprecato e lo stesso succederà con le prossime elezioni altrettanto inutili. Che questa convinzione possa far presa sull’elettorato comune passi. Che venga veicolata anche da molti opinionisti segnala l’incapacità di cogliere quanto effettivamente è avvenuto di nuovo dopo le elezioni: il silenzio tombale di tutti i cespugli (da Quagliariello a Liberi e Uguali); la radicale modificazione delle posizioni e del programma dei 5Stelle; la sostanziale tenuta (almeno fino ad oggi) della coalizione di Centro Destra; l’attività “politica” del Presidente della Repubblica; la rinnovata dinamica correntizia del PD che non riesce a fare i conti con Renzi; le elezioni del Molise e del Friuli Venezia Giulia; l’andamento dei sondaggi, ecc. Sostenere che è stato tutto tempo perso significa pensare che la politica sia una semplice operazione aritmetica guidata da un improbabile algoritmo. La politica è ben altro e, tra le altre cose, è anche un processo di apprendimento che richiede spesso di rivedere i propri schemi interpretativi.

Gli educati sono coloro che si dimostrano sconvolti dall’assenza di bon ton (istituzionale e non solo) che ha assunto la politica in Italia e che rimproverano i partiti che in maniera maleducata non eseguono pedissequamente quanto chiede loro il Presidente della Repubblica. Gli educati dimenticano molte cose. Ad esempio che fino al giorno prima delle elezioni del 4 marzo la cifra culturale di quelli che hanno preso (come partito) più voti di tutti era il “vaffanculo”.

Sembrano ignorare, anche perché spesso ne sono corresponsabili, la profonda volgarità dei talk show che influenzano l’opinione pubblica se non altro nel linguaggio e nello stile argomentativo.

Ignorano che da tempo l’insulto è il principale veicolo di propaganda politica per molti dirigenti di partito. Volgarità, ignoranza, arroganza dilagano da tempo nella nostra società e si riflettono anche sulla politica. Gli educati ricordano i capi militari dell’esercito francese che nel giro di un paio di giorni vennero circondati e annientati dall’esercito tedesco passato con i carri armati nei boschi delle Ardenne, violando tutti i canoni della tradizione militare che aveva portato gli stessi francesi a costruire l’inutile e controproducente linea Maginot. Una volta fatti prigionieri i generali francesiper lungo tempo hanno sostenuto di aver perso perché “la guerra non si fa così”. Appunto è proprio in virtù di questa innovazione, di questa fuoriuscita dagli schemi classici che i tedeschi, in quella occasione hanno stravinto. Aggrapparsi al bon tone al galateo istituzionale e scandalizzarsi perché altri (guarda caso quelli che vincono) non fanno altrettanto non aiuta certo a capire quello che succede. À laguerre comme à la guerre!

I pregiudizi cognitivi degli istituzionalisti, dei provinciali, dei grillisti, dei nichilisti, e degli educati spesso si sommano tra di loro e rendono ancora più difficile comprendere quanto sta succedendo. Non possono o non vogliono rendersi conto che, per la prima volta in modo così lampante in Italia, ci troviamo di fronte a profonde trasformazioni socio-economiche che, anche in politica fanno saltare i vecchi schemi, e non solo quelli interpretativi.

Sintetizzando al massimo, ma su questo dovrebbero riflettere a fondo tutti i partiti che non sanno cogliere “istintivamente” gli umori del popolo, ci troviamo a fare i conti con:

  • gli effetti strutturali e di lungo termine ormai della globalizzazione
  • gli effetti strutturali e di lungo termine delle innovazioni tecnologiche (ad esempio in tema di occupazione)
  • gli effetti socio-psicologici della fuoriuscita da una pesantissima e lunga crisi economica: dopo molti anni di sacrifici e di paziente attesa la gente, per certi aspetti in modo controintuitivo, vuole finalmente benefici tangibili e immediati e non statistiche confortanti.
  • le crescenti paure legate a percezioni che contrastano con le statistiche ma non con il modo di pensare dei cittadini relative ai flussi migratori e alla micro criminalità diffusa.

Di fronte a queste tendenze soffia in Italia un forte vento di destra di stampo, potremmo dire ungherese, che si associa ad un fatto non nuovissimo ma che solo adesso fa vedere i suoi effetti. La perdita definitiva della funzione pedagogica dei grandi partiti di massa. I partiti vincenti, intesi come quelli che vincono le elezioni, piaccia o non piaccia, non guidano e orientano gli elettori ma li seguono e li assecondano in una interpretazione della democrazia formalmente ineccepibile anche se sostanzialmente preoccupante. Ma questo è già successo in Inghilterra con la Brexit e negli Stati Uniti con l’elezione di Trump.

Se la politica e i partiti non di destra, o almeno non di questa destra, non sapranno interpretare questi fenomeni, liberandosi dai blocchi cognitivi arcaici che ancora li condizionano, le prospettive per loro e per molti cittadini che ancora “resistono” non saranno rosee. A loro il compito di riflettere, capire, elaborare, pensare.

Ma per questo ci vuole tempo mentre nell’immediato lo scenario, nel momento in cui scriviamo, prevede due opzioni sostanzialmente simili che nulla hanno a che fare col ballottaggio di cui parlano Di Maio e con lui molti opinionisti

La prima è un ritorno rapido alle urne i cui risultati darebbero, stando ai sondaggi, una tenuta dei 5Stelle e una sensibile crescita della Lega a scapito, in larga misura, di Forza Italia. Nessun ballottaggio quindi che, oltre a non esistere tecnicamente, dovrebbe prevedere la vittoria dell’uno e la sconfitta dell’altro. Si confermerebbero o si rafforzerebbero le due destre del Paese (Destra Nord e Destra sud) che vincerebbero entrambe arrivando ad avere sostanzialmente lo stesso peso e lo stesso numero di deputati e senatori.

La seconda è un ripensamento dell’ultimo minuto di Forza Italia che non volendo in alcun modo, comprensibilmente, tornare alle urne consentirebbe in qualche modo la nascita di un governo 5Stelle- Lega, senza rompere la coalizione di Centro Destra, “sacrificandosi” nell’interesse del Paese.

In ogni caso il risultato non cambia: nell’immediato o a breve avremo finalmente un governo di destra. Cosa succederà poi è presto per dirlo. Al di là degli slogan e dei programmi elettorali che, come noto, vengono sempre in qualche misura ridimensionati quando si passa dall’opposizione al governo, si possono da subito sottolineare tre aspetti.

Il primo riguarda la possibilità di medio termine di tenere insieme, sulle diverse politiche pubbliche, due realtà economiche e sociali così profondamente diverse come il nord e il sud del Paese rappresentati il primo dalla Lega e il secondo dai 5Stelle.

Il secondo riguarda la possibilità, finalmente, di superare un tripolarismo apparente per tornare ad un sistema chiaramente bipolare dove da un lato troviamo la destra sovranista, antieuropea e populista del duo Salvini e Di Maio e dall’altro quello che resta della sinistra e di tutti quei moderati che, ancorchè orientati a destra, non se la sentono di sostenere questa destra.

Il terzo infine riguarda la necessità per molti, se non per tutti, di rivedere schemi interpretativi che si sono dimostrati largamente insufficienti per comprendere a fondo le profonde trasformazioni sociali, e quindi politiche, degli ultimi anni.

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