Elites

Si va sempre più affermando l’idea che lo straordinario successo del populismo in Italia, ma non solo, sia da attribuire alla responsabilità delle elites che hanno governato il Paese nei decenni precedenti, senza fare alcuna distinzione tra governi di destra e di sinistra.

Le accuse che vengono mosse alle elites sono fondalmentalmente tre:

  • Di essere una casta ristretta, chiusa, solidale di privilegiati che comandano su tutti i campi dell’agire umano che comunque cascano sempre in piedi, cioè non perdono i propri privilegi perchè i sacrifici li fanno fare agli altri, al popolo
  • Di aver causato con i loro comportamenti e le loro scelte lo stato di degrado economico, sociale e morale in cui versa oggi il nostro Paese
  • Di non essersi minimamente accorte, nel loro aureo isolamento, di quanto fosse profondo il disagio, il rancore e la rabbia di buona parte del popolo nei loro confronti e del sistema in generale

Questa ricostruzione dovrebbe spiegare in estrema sintesi il consenso di cui godono oggi i partiti che compongono il governo ma dovrebbe altresì indurre le vecchie elites a fare un serio esame di coscienza ed una seria autocritica.

La brutalità di questa narrazione, che appare sempre più convincente a molti osservatori, non ci spiega però come si sia potuti arrivare a questa situazione non tanto per giustificare le elites ormai sconfitte quanto per comprendere meglio quanto è successo e come se ne possa uscire. Concentrerei l’attenzione su tre dimensioni tra loro molto diverse ma, alla fine, convergenti.

Prima dimensione. Da molti anni alcuni osservatori vanno segnalando il declino progressivo della qualità della classe dirigente italiana in tutte le sue componenti e non solo in quella politica. Una elite, sempre quella da decenni, incapace di rinnovarsi e di incorporare al suo interno i fermenti più innovativi che vengono dal mondo della produzione, della cultura, delle professioni. Una elite vecchia per età e per “anzianità aziendale” perciò stesso incapace di cogliere i segnali di novità.

Seconda dimensione. A partire grosso modo dall’inizio di questo secolo su tutti i paesi del mondo si sono “abbattute” la globalizzazione, la rivoluzione digitale, una delle più pesanti crisi economiche che la storia ricordi. Tutti questi fenomeni, in larga misura non ancora pienamente compresi nella loro portata generale, hanno creato, soprattutto in Europa ma non solo, perdita di posti di lavoro, contrazione del reddito disponibile, riduzione della sicurezza mentre nel contempo aumentavano le disuguaglianze. Una serie di “turbolenze” che hanno avuto e avranno ancora impatti pesantissimi sulla qualità della vita di milioni di persone ma che al contempo erano anche difficili da capire nella loro portata e nella loro evoluzione. Ancora oggi, ad esempio, non si è ben capito se la rivoluzione digitale “distruggerà” posti di lavoro in numero ben superiore a quelli nuovi che verranno creati così come fino ad ora è avvenuto nella storia.

Terza dimensione. Con quali strumenti si è risposto a questi fenomeni per loro natura destabilizzanti? Con l’applicazione quasi meccanicistica del paradigma economico dominante intendendo, con Khun, non solo la teoria ma anche le persone e le istituzioni che quella teoria incarnano e rendono effettiva attraverso le loro decisioni vincolanti: Fondo Monetario Internazionale, Banche Centrali, Commissione Europea, Centri Studi Internazionali, ecc. Questa sì una vera e propria elite che ha dettato e continua a dettare legge sui singoli governi nella convinzione assiomatica, altrimenti non sarebbe un paradigma, che è la scienza (economica) che indica con precisione i percorsi da seguire: garantire la libera circolazione dei capitali e dei flussi finanziari, senza troppo contrastare rendite e monopoli mondiali.

In Europa, a questa convinzione generale si è aggiunta l’idea che tutti gli Stati dovessero implementare riforme strutturali e realizzare politiche di bilancio rigorose (austerity). Che riforme strutturali e politiche rigorose di bilancio, che piacciono certamente ai mercati, possano migliorare le condizioni di vita dei cittadini nel medio lungo termine è ancora tutto da vedere e non tutte le evidenze empiriche vanno in questa direzione. Quello che è certo è che nel breve medio termine riducono la qualità della vita, la sicurezza, l’occupazione e il reddito di molte persone che alla fine si ribellano.

Il mantra che dura ormai da decenni “sacrifici oggi per benefici domani” è saltato perché tutti hanno vissuto i sacrifici ma i benefici ancora non si sono visti e non si vedono.

In questi decenni la politica ha dovuto affrontare fenomeni epocali nuovi, di cui non abbiamo capito ancora appieno la portata, avendo sostanzialmente le mani legate dalle leggi ferree dell’economia e dei suoi autorevoli interpreti.

Nella riflessione che si è aperta sulle responsabilità delle elites dedicherei una particolare attenzione alle istituzioni economiche internazionali e al pensiero economico dominante che rappresentano davvero una elite mondiale in grado di condizionare tutti i governi, anche quelli populisti e che, al momento, pare godere ancora di ottima salute.

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