Premessa
Sono sempre più convinto che il modo in cui viene vissuto, raccontato, affrontato questo periodo di pandemia stia creando più danni socio-economici di quanti non ne crei il virus in quanto tale.
La narrazione dominante apparentemente si appiglia alla scienza, o meglio agli scienziati da televisione, ma in realtà è tutta giocata sulla emotività e sull’evocazione di paure ancestrali e sulla prefigurazione di scenari catastrofici. Difetta assolutamente il senso di realtà, il senso della misura, la ragione e la ragionevolezza, nonché la capacità di distinguere ciò che è rilevante da ciò che è marginale, ciò che è temporaneo da ciò che è duraturo, ciò che è davvero nuovo da ciò che è sempre esistito. Il rischio concreto è che difetti la lucidità e il distacco con cui guardare al futuro. Per provare a dare un contributo positivo partendo dalle mie limitate capacità e competenze ho deciso di pubblicare sul blog una serie di brevi note che provino a raccontare in maniera diversa e più aderente alla realtà quello che ci sta succedendo. Oggi parlo di numeri. Nei prossimi giorni mi occuperò di alcune metafore evocative che dovrebbero spiegare il clima in cui ci troviamo a vivere ma in realtà lo costruiscono e lo esaltano, ancora una vota in chiave emotiva a scapito di una attenta disamina della realtà, come: “siamo in guerra”; “ è una crisi biblica”; “nulla sarà più come prima”; “medici e infermieri sono degli eroi”, per poi aggiornare commenti in tempo reale sui temi più significativi del dibattito in corso.
Ho giocato tre numeri al lotto
Partiamo dai numeri. Offrendo tutti i giorni numeri aggiornati sull’andamento dell’epidemia, ma anche dell’economia, molti sono convinti che finalmente la scienza prevalga sulla politica e che questa volta almeno ci stiano raccontando la verità. Falso. L’uso quotidiano dei numeri è poetico e non scientifico. In realtà nessuno ha la più pallida idea di quanti siano i contagiati in Italia (ma anche nel mondo): la protezione civile dice 150.000, l’Imperial College dice 6 milioni. Nessuno sa quanti siano i morti: perché non si sa bene di cosa siano morti davvero i morti ufficiali ricoverati negli ospedali e perché qualche approfondimento locale, nella bergamasca ad esempio, stima che il numero reale sia da quattro a dieci volte superiore. Nessuno sa quanti siano i guariti perché non sapendo quanti sono i malati è impossibile sapere quanti sono i guariti. Il tutto poi dipende dal numero dei tamponi fatti, assolutamente variabile da località a località, dai tempi di esecuzione degli stessi, dalla puntualità di consegna dei dati alle autorità competenti. E tuttavia sulla base di questi dati inconsistenti si calcolano percentuali, indici, tassi di letalità e mortalità come se tutto questo avesse senso e fosse per di più assolutamente scientifico. Il bollettino giornaliero della Protezione Civile è quanto di più demenziale si possa immaginare, eppure è seguitissimo. L’unica cosa che possiamo ricavare dalle statistiche che ci invadono quotidianamente sono le tendenze, ma anche qui per grandi approssimazioni. Se nel tempo il numero dei ricoverati cala, se il numero di quelli in terapia intensiva cala, se il numero dei deceduti in ospedale cala è ragionevole ipotizzare che la diffusione del contagio stia regredendo, contando sul fatto che se diminuiscono i casi più gravi, diminuiscano anche quelli meno gravi e gli asintomatici.
Ma la cosa più fastidiosa e ancora meno scientifica è che non c’è alcuna comparazione e informazione relativa su come vanno le cose in condizioni normali, cioè in assenza di virus.
Supponiamo che nel mese di marzo siano morte 12.000 persone e che con le code di maggio si arrivi ad un totale di 20.000 e prendiamo qualche dato statistico certo. Quanti sanno che in Italia ogni giorno muoiono, per cause varie, circa 1.850 persone al giorno, poco più di 50.000 al mese, circa 635.000 all’anno? Quanti sanno che ogni anno la classica e banale influenza mette a letto circa 5 milioni di persone e causa, a seconda degli anni la morte di circa 7.000 di queste?
Il risultato è che la gente è convinta di essere di fronte ad una catastrofe immane quando invece è una delle tante cause di morte che si aggiunge alle altre di cui non ci preoccupiamo minimamente e che diamo per scontate senza nemmeno conoscerne gli ordini di grandezza. E’ vero che la velocità con cui si sarebbe propagato il virus se non si fossero prese le adeguate misure di isolamento avrebbe avuto conseguenze davvero drammatiche ma, allo stato, di questo stiamo parlando e comunicarlo con chiarezza e semplicità aiuterebbe le persone a reagire con meno emotività e più consapevolezza dei dati reali che sono comunque dati seri con cui fare i conti, soprattutto in prospettiva vista la possibile recrudescenza del virus in autunno o il comparire nel prossimo futuro di altri virus più o meno simili.
Se dal mondo della sanità passiamo a quello dell’economia la numerologia non cambia. Non esiste economista, centro di ricerca, ente pubblico o privato, associazione di categoria che non ci dica, con certezza e convinzione, come andranno le cose nel prossimo futuro. Alcuni economisti paventano il rischio di inflazione, altri quello di deflazione che a me, non economista, sembrano due esiti diametralmente opposti e difficili da spiegare partendo dalla stessa base dati. Sull’andamento del PIL previsto per i prossimi mesi si potrebbe costruire un vero e proprio concorso per vedere a fine anno chi si è avvicinato di più alle “previsioni,” per altro non sapendo ancora quali provvedimenti prenderanno i governi, l’Europa, le Banche Centrali. Il fabbisogno di denaro fresco e subito disponibile per fronteggiare l’emergenza oscilla da qualche miliardo a centinaia e centinaia di miliardi. Le associazioni di categoria avanzano previsioni catastrofiche per tutte le imprese, molte delle quali saranno costretta a chiudere o a licenziare, ovviamente senza dirci di quelle che stanno crescendo, assumendo, aumentando i salari senza nemmeno negoziare con il sindacato.
Ma nel frattempo (quasi) nessuno ricorda che il risparmio degli italiani ammonta a 5.000 miliardi di euro, di cui 1.500 in conto corrente, cioè assolutamente liquidi e immediatamente utilizzabili, ovviamente a certe condizioni.
Possiamo concludere che l’uso dei numeri che viene fatto in questi giorni per spiegarci cosa sta succedendo è quantomeno fantasioso. Ma partendo dalla convinzione popolare che “2 più 2 fa 4” e che “la matematica non è un’opinione” qualsiasi cifra, sparata più o meno a caso, trasmette l’idea che l’informazione e la comunicazione siano scientifiche proprio perché suffragate da numeri che, per la maggior parte delle persone, rimangono un affascinante mistero esoterico. E allora perché non continuare a…. “giocare tre numeri al lotto”?
Condivido appieno le tesi addotte dal mio ex prof di analisi comparativa delle organizzazioni…argomentazioni che il prof Ardigo’ chiamerebbe di acuto pensiero riflesso