Normalmente non è considerata operazione intelligente quella di chiudere la stalla quando i buoi sono già scappati. Eppure è esattamente quello che ha fatto Di Maio con le sue dimissioni. Nel rendicontare puntigliosamente tutti i risultati positivi conseguiti dal movimento da lui guidato negli ultimi due anni si è dimenticato di dire alcune cose: che già pochi mesi dopo la nascita del primo governo Conte quasi metà degli elettori se ne era andata con la Lega; che dal fatidico giorno in cui il Movimento ha raggiunto il 32% a livello nazionale ha perso, e malamente, tutte le elezioni amministrative e quelle europee; che nelle ultime settimane è stato consistente il passaggio di parlamentari nel gruppo misto e qualcuno anche nella Lega; che, al di là degli attacchi espliciti di pochi, il Movimento era diventato ingovernabile e di fatto non governato; che le riforme organizzative annunciate molti mesi fa sono arrivate solo ieri in zona Cesarini.
Quindi le dimissioni (tardive) di Di Maio sono un fulgido esempio di chiusura della stalla quando ormai è quasi vuota.
Nello stesso tempo è evidente che le dimissioni hanno una forte componente tattica in vista degli stati generali che i terranno a marzo. Se fosse arrivato a quelle assise ancora in carica sarebbe stato il principale bersaglio e il suo ruolo sarebbe stato al centro di tutto il dibattito. Con le dimissioni che arrivano a poche settimane dagli stati generali non solo Di Maio non è più il bersaglio o il problema principale ma potrebbe anzi essere la soluzione dato che è evidente che i veri competitor sono molto pochi, ammesso che davvero ne esista uno. Con le mani libere dal ruolo di capo politico Di Maio può riorganizzare le sue truppe e presentarsi come candidato nuovo di fronte ai militanti. In altri partiti questo probabilmente non sarebbe possibile ma il Movimento è talmente dilaniato e disperso al suo interno che un gruppo appena un pò compatto e con un leader di riferimento che di sicuro ha maturato più esperienza politica dei suoi eventuali antagonisti con facilità potrebbe riprendere in mano le redini del Movimento stesso.
Al di là del ruolo e del gioco che sta giocando Di Maio resta il problema di fondo del totale disorientamento dei 5Stelle in cui si possono evidenziare diverse posizioni, anche se non è dato di sapere quanti siano i sostenitori dell’una e dell’altra.
La prima posizione è quella dei filo leghisti che rimpiangono il governo con Salvini. Già circa metà degli elettori è passata chiaramente con la Lega e se ci fosse davvero il vincolo di mandato allora, in teoria, anche metà dei parlamentari dovrebbe fare la stessa scelta.
La seconda posizione è quella dei filo PD, cioè di coloro che ritengono che il Movimento, per sua natura, debba caratterizzarsi come una componente del fronte riformista più o meno organica alla linea del PD.
La terza è quella degli autonomisti che ritengono che il movimento debba restare autonomo ed equidistante tanto dalla Lega che dal PD rivendicando la sua specificità e la sua originalità. Posizione che aveva un senso con il 30% dei voti in una logica tripolare, ma che di fronte ad una bipolarizzazione degli schieramenti con forte egemonia del centro destra sembra difficile da praticare.
Non andrebbe poi dimenticata una quarta componente che può intrecciarsi con le prima due e soprattutto con i filo leghisti, che è composta da tutti coloro che sperando in una rielezione sanno bene che con il crollo dei votanti e il taglio dei parlamentari, le possibilità di essere rieletti come espressione del Movimento sono davvero minime.
I risultati dell’elezioni in Emilia-Romagna sono particolarmente significativi. E’ vero che in generale alle amministrative i grillini vanno peggio ma, in questo caso, hanno perso oltre il 70% dei voti rispetto alle regionali precedenti diventando completamente irrilevanti e questa volta il voto dei loro ex elettori è andato al centro sinistra e non alla Lega.
I temi da affrontare negli stati generali sono davvero molti e di grande rilievo politico per i destini di un Movimento che nel bene e nel male ha caratterizzato la vita politica del Paese negli ultimi dieci anni e che oggi appare a molti osservatori a rischio di estinzione. Razionalità vorrebbe che nell’attesa di affrontare e risolvere tali e tante questioni i 5Stelle facessero di tutto per sostenere fino alla fine naturale della legislatura l’attuale governo. Ma non è detto che vada in questo modo. Così come non è detto che basti una qualche riforma organizzativa o una maggiore collegialità per tenere insieme il tutto. Il problema vero è di linea politica, di identità e di collocazione nello schieramento politico più generale. Staremo a vedere.
(già apparso su mentepolitica.it del 29.1.2020)