Per comprendere a fondo quanto è successo il 26 maggio bisogna porsi almeno tre interrogativi.
Come mai i sondaggisti e gli opinionisti (compreso il sottoscritto) che basano i loro commenti sui sondaggi sono così poco capaci di cogliere le dinamiche reali del Paese?
Come mai l’elettorato è diventato così volatile visto che in un solo anno alcuni milioni di elettori hanno cambiato la destinazione del loro voto?
Come mai dei due partiti di governo, sempre in un solo anno, uno raddoppia i suoi consensi e l’altro li dimezza?
La prima è una questione tecnica alla quale non so dare risposta ma visto che alla vigilia del voto, e ancora con gli exit poll si ipotizzava una crescita più contenuta della Lega così come un cedimento più contenuto dei 5 Stelle è evidente che qualcosa non funziona nei meccanismi di interpretazione degli orientamenti della opinione pubblica.
La seconda è una questione sociologica e antropologica prima ancora che politica che segnala come il voto sia sempre più voto di opinione maturato sulle contingenze del momento che non voto di appartenenza. Per molti versi questa è una tendenza in atto da tempo ma che nell’ultimo anno ha subito una evidente accelerazione. La prima conseguenza della volatilità dell’elettorato è che assumeranno sempre più importanza la comunicazione, la campagna elettorale permanente, i programmi e le promesse a breve rispetto a prospettive di medio lungo termine.
La terza questione è ancora più complessa da comprendere anche perché nel corso dell’anno i 5Stelle hanno cambiato strategia: resisi conto che assecondando la Lega perdevano consensi hanno cominciato a contrastarla sistematicamente e hanno continuato a perdere consensi.
Visto che la stragrande maggioranza dei voti persi dai 5Stelle sono andati alla Lega conviene interrogarsi sulle differenze tra questi due partiti. Il punto centrale da cui partire è che il successo dei grillini il 4 marzo sia stato un successo effimero, più apparente che reale, laddove erano considerati l’unica vera alternativa di protesta rispetto ai partiti tradizionali. La Lega prende un 17% che di per sé non è un risultato tale da stravolgere il quadro politico. Ma le cose cambiano con la formazione del governo perché in quel momento la Lega diventa la nuova alternativa possibile per l’elettorato che immediatamente comincia a spostare il suo sostegno da Di Maio a Salvini. In soli pochi mesi i grillini perdono circa un 10% pur portando a casa il reddito di cittadinanza.
Nel momento in cui la Lega, con l’ingresso al governo entra politicamente in gioco cominciano a vedersi sempre più nettamente le differenze tra i due partiti e i rispettivi leader.
Intanto Salvini è un vero leader che si è costruito da solo la sua posizione mentre Di Maio è poco più che un capo classe nominato dall’esterno. La Lega è un partito di massa “classico” radicato sul territorio, almeno al nord, con un folto gruppo di dirigenti e quadri che hanno fatto esperienza politica in molte amministrazioni locali. I 5Stelle sono un partito virtuale, tutto giocato sulla rete ma con un seguito limitato e con pochissime e deludenti esperienze di governo locale. La Lega riesce ad essere partito di lotta e di governo mentre i 5Stelle diventano immediatamente governativi dimostrando però di non avere le capacità tecniche, l’esperienza e un gruppo dirigente all’altezza dei diversi ruoli che si trovano a ricoprire.
Sul piano dei programmi i 5Stelle, una volta ottenuto il reddito di cittadinanza, sono a corto di proposte significative mentre Salvini ha due cavalli di battaglia di lungo respiro che sono la sicurezza e la riduzione delle tasse. Lo stallo nell’attività di governo e i continui rinvii sulle decisioni più delicate trasformano la Lega nel partito del fare rispetto al partito del non fare rappresentato dai grillini.
Anche sul piano della comunicazione i leghisti dimostrano di avere una marcia in più. Il presenzialismo esasperato di Salvini su tutto il territorio italiano anche nei più remoti paesini che ripropone un antico modo di fare politica alla faccia della rete e dei social evidentemente paga. Ma un analogo presenzialismo sulla rete e sui social con un’iconografia che scandalizza i benpensanti invece che stancare gli elettori per un sovradosaggio comunicativo viene evidentemente apprezzato: divise, felpe, ruspe, rosari, danno un immagine nuova di come possa essere un capo politico non necessariamente ingessato in giacca e cravatta e chiuso nel suo ufficio. Tutto questo, alla luce dei fatti, paga così come paga la coerenza e la fermezza delle posizioni se non altro rispetto all’atteggiamento spesso ondivago dei 5Stelle.
Se a questo aggiungiamo l’effetto trascinamento che accompagna tanto la crescita che il declino di un qualsiasi partito abbiamo forse un quadro più preciso del perché gli uni abbiano guadagnato tanto e gli altri abbiano perso tanto.
A questo punto la posizione dei grillini è davvero difficile. Se restano al governo rischiano di fare la fine di Forza Italia. Se escono dal governo devono ricostruirsi una credibilità politica che in questo anno di governo hanno in larga misura perso.