Dopo il 4 marzo

Dopo il 4 marzo

Chi ha vinto e chi a perso, cosa chiedono gli elettori, l’accentuazione della frattura nord-sud, le prospettive

Dopo una campagna elettorale così combattuta e con esiti per molti versi sorprendenti, sarebbe opportuno che tutti (vincitori e vinti, politici e commentatori) si prendessero una pausa di riflessione per meglio capire cosa davvero è successo prima di proporre soluzioni (o non soluzioni) ad una situazione che al momento è di stallo. Ad oggi non sono ancora stati attribuiti tutti i seggi ed è mancato il tempo materiale per un’approfondita analisi dei flussi in generale e nello specifico dei singoli territori. Fino ai primi d’aprile il Presidente della Repubblica non avvierà le consultazioni e la nomina dei presidenti di Camera e Senato è questione che riguarda in prima istanza le diplomazie dei partiti che, come tutte le diplomazie, agiscono, o dovrebbero agire, con il massimo di riservatezza. Nel frattempo andrebbero analizzate in profondità alcune questioni che sembrano emergere con una certa chiarezza dal voto. Senza definire un ordine di priorità mi sembra che sarebbe opportuno riflettere su:

  • La comunicazione politica
  • Il comportamento degli elettori
  • Chi ha vinto e chi ha perso
  • Le fratture sociali
  • Le prospettive

La comunicazione politica

In attesa che gli specialisti facciano il loro lavoro e ci propongano le loro analisi mi pare si possa ipotizzare che i messaggi politici veicolati in campagna elettorale si distinguono in due categorie: quelli rilevanti cioè che “passano” e toccano i cittadini e quelli irrilevanti che cioè non interessano e non coinvolgono gli stessi cittadini.

Tra i messaggi rilevanti diretti possiamo annoverare:

  • Il drastico abbattimento delle tasse
  • L’abolizione della legge Fornero
  • Il reddito di cittadinanza
  • Il no all’immigrazione
  • La sicurezza
  • Un forte scetticismo sull’Europa

Tra quelli rilevanti ma indiretti:

  • chi sbaglia paga (anche chi dissente è uno che sbaglia)
  • chi è unito e coeso è più affidabile di chi litiga sempre al suo interno
  • il leader conta quasi più del partito: se è simpatico fa prendere voti se è antipatico li fa perdere

Tra i messaggi irrilevanti possiamo annoverare:

  • L’Europa e le relazioni internazionali
  • Debito, deficit, PIL, spread
  • Sviluppo economico (es. industria 4.0)
  • Cultura e ricerca
  • Risultati ottenuti dal governo uscente

Le scelte dell’elettorato

Da quanto detto ne deriva che:

  • L’elettorato non ha memoria. Non si ricorda di come stavano le cose 5 anni fa e comunque considera tutto ciò che è migliorato come un fatto naturale e un atto dovuto. Gli elettori guardano all’oggi e al massimo a domani (non al domani) e votano sulla base della percezione e dei bisogni dell’oggi.
  • L’elettorato non legge. Non solo non legge giornali, libri, saggi ma meno ancora legge programmi, soprattutto se lunghi e complessi e se si dilungano sul passato (cioè sui risultati ottenuti).
  • L’elettorato è emotivo. Reagisce in maniera emozionale agli stimoli, vota più con la pancia che con la testa, se gli piace si fida del suo leader qualunque cosa dica.
  • L’elettorato è corporativo. Nel senso tecnico del termine si occupa solo del suo orticello e dei problemi che vede intorno a lui. In questo senso l’elettorato è anche provinciale nel senso che il suo sguardo non va oltre quello della sua provincia.

A questo punto qualcuno potrebbe avanzare l’ipotesi che quanto sostenuto praticamente da tutti e cioè che il Paese reale (il popolo) è comunque sempre meglio del Paese legale (i rappresentanti del popolo) non sia del tutto fondato. Ma la questione è irrilevante: il giorno delle elezioni, per dettato costituzionale, il popolo sovrano ha comunque ragione.

Sarebbe però interessante, se le cose che abbiamo fin qui dette hanno una qualche evidenza empirica, verificare come si sono collocati i partiti in questo contesto. Mi limito in questa sede a prendere in breve considerazione il caso del PD il quale:

  • Non ha veicolato nessuno dei messaggi rilevanti diretti
  • Su quelli indiretti: è sempre stato litigioso al suo interno, non ha allontanato quelli che hanno sbagliato (dissidenti compresi), ha un leader che sta antipatico ai più (anche dentro al partito)
  • Ha veicolato tutti messaggi irrilevanti, ha insistito sul passato (risultati ottenuti) e sul futuro di medio lungo termine e non sull’immediato.
  • Ha presentato un programma in cento più cento punti che nessuno ha letto.
  • Non ha inviato nessun messaggio evocativo secco e immediatamente comprensibile.
  • Si è presentato a tutta l’Italia senza distinguere (i problemi) tra nord e sud.

Se queste considerazioni sulla comunicazione fossero anche solo parzialmente attendibili potrebbero spiegare almeno in parte l’insuccesso del PD così come il successo di altri.

In ogni caso o si capisce come in questi anni sia cambiata radicalmente la comunicazione politica, il ruolo dei partiti e il comportamento degli elettori oppure si rischia di diventare rapidamente irrilevanti.

La vera questione che sta dietro al risultato elettorale e alla quale non credo nessuno possa dare oggi una risposta secca è: si è trattato di un voto di protesta che in quanto tale può rientrare (ovviamente a certe condizioni) oppure è l’inizio di una nuova fase in cui si confronteranno i partiti populisti (per semplificare al massimo) che “seguono” il popolo anziché cercare di guidarlo e orientarlo?

La comunicazione, nel senso più ampio che abbiamo dato in queste righe, è uno dei principali vettori di riflessione che riguarda non solo il PD ma tutti coloro che hanno perso.

Chi ha vinto e chi ha perso

E’ abbastanza facile dire chi ha vinto, più complesso è dire chi ha perso.

Come partiti hanno vinto Lega, 5Stelle, Fratelli d’Italia.

Come partiti hanno perso Liberi e Uguali, i partiti di centro (sia a destra che a sinistra), il PD e Forza Italia.

In percentuale, rispetto all’agglomerato che rappresenta e ancor di più rispetto alle aspettative dichiarate, Liberi e Uguali ha subito un tracollo che non ha uguali. A mala pena ha superato la soglia del 3%, non ha portato via nemmeno un voto al PD, non ha riportato al voto nessun astenuto, ha perso molti voti a favore, probabilmente, dei 5Stelle. Per una “nuova” formazione un insuccesso clamoroso che ha lasciato fuori dal parlamento la gran parte dei suoi fondatori.

I vari partiti minori, in gergo i cespugli, tanto quelli in coalizione con il PD quanto quelli in coalizione con il Centro Destra, sono praticamente scomparsi. La parziale eccezione della lista Bonino, che comunque non ha raggiunto il 3%, è probabilmente solo apparente perché molti hanno votato lei per dare un voto al PD ma non a Renzi.

Il PD, che in ragione del voto alla Bonino, stimo intorno al 20% dell’elettorato, è pur sempre il secondo partito del Paese pur avendo perso più del 5% dei voti, in larga misura a favore dei 5Stelle ma non solo visto che la coalizione di Centro-destra in Emilia ha preso più voti del PD. Una sonora sconfitta ma non ancora una catastrofe tenendo conto che i partiti di governo normalmente pagano pegno alle elezioni successive al loro mandato.

La sconfitta di Forza Italia, attenuata in parte dall’affermazione della coalizione, è più politica che numerica ma non per questo meno pesante. Tra gli alleati ha perso il partito della moderazione (Forza Italia), sono crollati i partitini satelliti (la quarta gamba), e Berlusconi ha perso la leadership della coalizione.

Cosa può succedere in una coalizione a quattro in cui due vincono e due perdono è presto per dirlo ma certo non rassicura sul fatto che venga superata quella conflittualità interna già presente prima delle elezioni. Se non dovessero riuscire a formare un governo è possibile che i conflitti possano aumentare ancora di intensità.

A fronte di tre vincitori certi ci sono molti sconfitti e questo peserà certamente nel prossimo futuro.

Le fratture sociali

L’esito più drammatico delle elezioni, perché peserà parimenti su vincitori e perdenti, è dato dalla accentuazione delle fratture sociali (clevages) che, pur non essendo una novità per il Paese, escono ulteriormente radicalizzate.

Sorprendentemente, rispetto alle aspettative, non sembra esistere una questione generazionale: la quasi perfetta coincidenza tra voti alla Camera e voti al Senato direbbe che non esiste una specifica questione giovanile ma che i problemi riguardano tutti a prescindere dall’età anagrafica. Un dato credo che nessuno si aspettasse e che sinceramente non so come valutare.

A parte questo tutte le altre fratture sociali ne escono rafforzate:

  • nord vs. sud
  • centro vs. periferia
  • occupati vs. disoccupati
  • garantiti vs. non garantiti
  • tolleranti vs. non tolleranti (migrazioni e sicurezza)
  • europeisti vs. anti europeisti
  • giustizialisti vs. garantisti

Un quadro estremamente difficile per chiunque dovrà governare e sul quale dovranno riflettere tanto coloro che hanno vinto le elezioni che coloro che le hanno perse, sia nell’immediato che in prospettiva.

Le prospettive

Non diremo nulla sulle prospettive di breve termine perché, al momento sono nelle mani del Capo dello Stato e dei partiti che parteciperanno alle consultazioni. Mi limito a dire che per i programmi, le caratteristiche, le culture, il radicamento, i leader dei tre poli, una soluzione di convergenza tra due dei tre poli (qualunque essa sia) mi pare altamente improbabile, ma è anche vero che la politica è l’arte dell’impossibile e che la storia ci ha consegnato a volte soluzioni “curiose” ma in qualche modo efficaci. Vedremo.

Su una prospettiva temporale più ampia possiamo fare però alcune considerazioni.

Molte cose dipenderanno dal grado di conflittualità interna al PD e alla coalizione di Centro-Destra, soprattutto nei rapporti futuri tra Lega e Forza Italia.

Il PD, oltre ai voti, ha perso tutti i potenziali alleati: Liberi e Uguali, Socialisti, Verdi, Lorenzin ma anche lista Bonino sono numericamente irrilevanti e comunque non portano valore aggiunto alla coalizione. Se il PD riuscisse ad essere coeso questo potrebbe non essere un fatto grave perché potrebbe comunque portargli qualche voto.

Non sappiamo quanto i cosiddetti cespugli, tanto a destra quanto a sinistra, vogliano sopravvivere a tutti i costi o quanto vogliano prendere atto della loro irrilevanza numerica. In ogni caso la prossima partita si giocherà tra i quattro partiti più grandi.

Tutti i quattro partiti dovranno in qualche misura riposizionarsi. Nell’immediato nessuno è in grado di formare un governo da solo e deve comunque negoziare con qualcun altro, visto che non si è mai visto al mondo nessuno che regali i propri voti senza chiedere nulla in cambio.

Non è da escludere il ritorno alle urne anche se tutti, al momento, dichiarano che sarebbe una iattura.

L’ipotesi di un governo che abbia come unico scopo quello di scrivere una nuova legge elettorale è un’ipotesi come un’altra che sconta però un dato fondamentale. Allo stato solo i 5Stelle poterebbero essere interessati ad un sistema maggioritario (soprattutto a doppio turno) che è l’unico che potrebbe garantire la governabilità. Gli altri sarebbero dei suicidi se accettassero questa soluzione perché, salvo rivolgimenti imprevisti, i 5Stelle andrebbero praticamente sempre al ballottaggio e vincerebbero a man bassa. (Solo D’Alema può pensare che questa sarebbe una soluzione favorevole alla sinistra).

Molta più fortuna potrebbe avere l’ipotesi di un sistema proporzionale puro con soglia di sbarramento al cinque per cento. Eliminerebbe definitivamente i partitini a tutto vantaggio dei partiti maggiori. I 5Stelle vincerebbero comunque, come partito, mentre è improbabile che il Centro Destra riesca a fondersi in un partito unico e ognuno farebbe la sua corsa (con qualche preoccupazione solo per la Meloni che è appena sotto il 5%).

Ma il problema resta. In un sistema tripolare o due dei tre si alleano oppure nessuno governa visto che le probabilità che qualcuno superi il 50% sono davvero minime. E’ però vero che c’è una bella differenza tra fare un’alleanza tra pari e una tra chi ha molti più voti dell’altro. Inoltre la prospettiva di una coalizione forzata per governare potrebbe orientare in maniera diversa la campagna elettorale e i programmi. Parlare di eventuali premi di maggioranza mi sembra quanto meno prematuro. Molto più probabile che nella incapacità/impossibilità di scrivere una nuova legge si vada a votare con quella attuale. E lì, se i partiti come il PD e Forza Italia non si suicideranno da soli nei prossimi mesi, si vedrà se il voto del 4 marzo è stato prevalentemente un voto di protesta oppure se segna una svolta “antropologica” nel nostro sistema politico verso un bipolarismo 5Stelle-Lega che, personalmente, non mi auguro proprio.

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