Come avevamo anticipato in un precedente articolo il vero congresso del PD si apre adesso, con le primarie del 3 marzo. Gli esiti del congresso interno, quello riservato agli iscritti, sono andati come previsto con tre precisazioni che vale la pena richiamare.
Una scarsa partecipazione degli iscritti (ha votato circa la metà degli aventi diritto).
Nessun candidato ha raggiunto la soglia del 50%.
Giachetti ha avuto un consenso inaspettato.
Adesso si aprono i giochi veri che prevedono due condizioni perché sia possibile parlare di un congresso utile e positivo in quanto crea le condizioni per una svolta significativa e per una relativa ripresa dei consensi. Due condizioni di contesto che prescindono, in questa analisi, da qualsiasi considerazione di merito sulle posizioni specifiche dei tra candidati che non vengono nemmeno prese in esame.
La prima è che alle primarie partecipi un numero consistente di elettori. Nessuno si aspetta il milione e ottocentomila delle ultime votazioni ma un numero decisamente inferiore starebbe a segnalare la disaffezione degli elettori per un partito che comunque si propone di innovare profondamente rispetto al passato. Il numero dei partecipanti alle primarie è fondamentale per capire quanta attesa ci sia rispetto alla possibilità che il partito recuperi una posizione significativa nell’arena politica, attesa che in un momento successivo potrebbe tramutarsi in voto.
La seconda condizione è che Zingaretti, arrivato vicino alla soglia del 50%, superi in misura significativa questa soglia nei gazebo.
La ragione intrinseca di questa condizione è che solo una buona affermazione di Zingaretti segnalerebbe infatti una certa sintonia tra partito ed elettori non iscritti, nonché la reale possibilità per lo stesso di esercitare una leadership basata su un consenso diffuso tra i cittadini e non solo nel partito.
Una vittoria di Martina, sempre sopra il 50%, segnalerebbe viceversa una forte distonia tra partito ed elettori e si troverebbe, di fatto, a fare i conti con una corrente interna, quella di Zingaretti, che rappresenta comunque quasi metà del partito.
Una eventuale vittoria di Giachetti sarebbe infine devastante per il partito che dovrebbe prendere atto di non aver proprio capito cosa pensano i suoi elettori. Ma anche una sua buona affermazione, tale da impedire agli altri due di superare il 50%, sarebbe altrettanto dirompente.
Se nessuno dei tre candidati supera la soglia del 50%, sarà comunque una sconfitta per tutti perchè il nuovo segretario dovrà essere eletto dall’assemblea del partito partendo dai pesi attribuiti alle correnti dal congresso interno ma dovendo necessariamente tener conto di come hanno votato i non iscritti. Un rebus oltremodo complicato che si presenta come un gioco a somma inferiore a zero dove, comunque vada, tutti perdono. Il segretario che dovesse uscire da un simile confronto sarebbe comunque un segretario dimezzato, con pochissime possibilità di esprimere una vera leadership, avendo a che fare con un partito in cui le correnti, anziché scomparire, si sono rinforzate.
La partita dunque, da oggi al 3 marzo, si gioca tutta sul versante esterno e cioè sulla capacità dei tre candidati di far convergere sulle loro mozioni il consenso dei non iscritti. Non abbiamo ancora avuto modo di vedere con chiarezza come i tre candidati se la giocheranno: su quali programmi, su quali parole d’ordine, su quali distinguo, su quali strumenti di informazione e comunicazione anche perché si ha l’impressione che le logiche interne, tendenzialmente autoreferenziali, tendano ancora a prevalere a dispetto del fatto che la partita questa volta è tutta esterna e rivolta ad elettori che non conoscono, non capiscono, non apprezzano le sfumature, spesso sottointese, tra una posizione e l’altra.
Pensare che i non iscritti, gli elettori delle primarie, possano rispecchiare il posizionamento degli iscritti, più o meno con le stesse percentuali, rischia di essere una grossolana sottovalutazione degli orientamenti reali dei cittadini che ancora guardano a questo partito per il ruolo che pensano e sperano possa ancora giocare nel sistema politico italiano. In ballo non c’è solo o tanto la vittoria formale del congresso, che può arrivare attraverso diverse alchimie aritmetiche, bensì la possibilità di esprimere un vero nuovo leader che inizia il suo percorso con un sufficiente appoggio e riconoscimento degli iscritti e degli elettori.
(già apparso su mentepolitica.it del 23.2.19)