Un vecchio detto tedesco recita “ Keine Rose ohne Dornen” che tradotto suona: “Non esistono rose senza spine”.
Questo detto si attaglia perfettamente al mondo politico quando si tratta di accordi, mediazioni, compromessi, convergenze, intese, insomma tutto quello che, dall’opposizione, i partiti oggi vincenti chiamavano inciucio. Ogni accordo ha un costo che può essere più o meno alto, più o meno esplicito, più o meno immediato ma “Non esiste accordo senza costo”.
Il costo può assumere diverse configurazioni: la rinuncia parziale ad una propria posizione fino a quel momento non negoziabile; uno scambio esplicito, il classico do ut des; una compensazione su un altro piano, ecc. Uno dei costi più alti che un qualsiasi partito che si impegni in un accordo importante deve mettere in conto è la defezione di una parte dei suoi elettori, che si sentono traditi, ma anche di una parte dei suoi eletti. L’effetto che potremmo chiamare Turigliatto, dal nome del parlamentare che fece cadere Prodi per mantenere fede ai suoi ideali più rigorosi, è un effetto che può contagiare tutti i partiti in qualsiasi momento.
Facciamo un esempio. Se il PD decidesse di appoggiare il governo di centro destra perderebbe l’appoggio di un numero consistente dei suoi parlamentari. Ma anche se decidesse di appoggiare i 5Stelle per la formazione del governo perderebbe una parte dei voti dei suoi.
Ma questo vale anche per la Lega e i 5Stelle qualora dovessero appoggiarsi reciprocamente.
Nessuno è esente dall’effetto Turigliatto che, tra l’altro, può esprimersi in qualsiasi momento, con particolare facilità nelle votazioni a scrutinio segreto.
L’effetto Turigliatto modifica l’aritmetica parlamentare che, a differenza di quanto molti sembrano ritenere, non è fatta solo di addizioni ma anche di sottrazioni.
Tutte le ipotesi molto fantasiose che si leggono in questi giorni sembrano dare per scontato che i numeri dei diversi gruppi parlamentari si possono sommare aritmeticamente e quindi esistono, almeno sulla carta, diverse combinazioni possibili quali, ad esempio, 5Stelle-PD oppure 5Stelle-Lega.
A prescindere da ogni considerazione politica di merito mi pare che l’aritmetica, che in democrazia un qualche ruolo ce l’ha sempre, non sia in grado di sostenere questa ipotesi perché ai voti che si sommano vanno tolti i voti che si sottraggono. E quindi accordi che in teoria avrebbero comunque margini di maggioranza assai ridotti, nella pratica rischiano di non arrivare neppure alla maggioranza o, comunque, di essere talmente esposti all’effetto Turigliatto, da non poter essere considerati una soluzione stabile.
Dal punto di vista aritmetico l’unica soluzione possibile al problema posto dai risultati elettorali è un accordo 5Stelle-Centro destra perché avrebbe margini talmente alti in partenza da potersi permettere anche un numero consistente di defezioni. Nessuna considerazione politica fino ad ora ma semplice aritmetica parlamentare.
Veniamo alla geometria. E’ ormai invalsa nell’opinione pubblica, ma anche in alcuni osservatori politici normalmente molto attenti, che la geometria politica del nostro Paese debba essere configurata mettendo alla sinistra i 5Stelle, al centro i moderati che sarebbero PD e Forza Italia, alla destra la Lega. Questa rappresentazione geometrica non solo è sbagliata ma è anche molto pericolosa perché induce delle inferenze destituite di qualsiasi fondamento empirico, per esempio quando ipotizza per il futuro una polarizzazione tra nuova destra e nuova sinistra e cioè tra Lega e 5Stelle.
Più opportunamente le cose andrebbero raffigurate nel seguente modo:
A sinistra oggi esiste solo il PD: grande o piccolo, bello o brutto, vincente o perdente, per suo merito o suo malgrado, ma c’è solo il PD.
Al centro c’è Forza Italia con quel che resta, ammesso che resti qualcosa, dei cespuglietti di Casini, Lorenzin, Cesa, Fitto, Quagliariello.
A destra ci sono la Lega e i 5Stelle. Fratelli d’Italia può collocarsi dove preferisce.
Il giorno in cui si riconoscerà che i 5Stelle, così come la Lega, sono un partito di destra, sarà tutto molto più semplice e molto più rispondente al vero. Lega e 5Stelle condividono una volgarità generale (dal latino vulgus) che qualcuno chiama populismo: soluzioni semplici a problemi complessi. Sono assai vicini sull’Europa e sui vincoli europei. Non amano i migranti. Vogliono far pagare meno tasse ma al contempo spendere molto di più per la Fornero e il reddito di cittadinanza. In tutta la loro carriera politica e nei loro programmi non hanno mai pronunciato la parola cultura.
Un’unica cosa davvero li divide, e non è cosa da poco. La Lega ha una posizione tendenzialmente egemonica al nord mentre i 5Stelle hanno la stessa posizione al sud.
Ricordando le profonde differenze socio-economiche tra nord e sud si può dire che questa è la vera scommessa politica del momento, la vera polarizzazione all’interno delle due destre: nord e sud saranno capaci di convergere politicamente su un programma comune o sono destinati ad accentuare ulteriormente le loro differenze?
Tutti capirebbero molto di più se, come suggerisce il mio amico Paolo Feltrin leggendo attentamente i risultati elettorali, la Lega tornasse a chiamarsi Lega Nord e i 5Stelle cominciassero a chiamarsi Lega Sud.
Allora anche la geometria politica sarebbe più chiara a tutti.
(Già pubblicato su mentpolitica.it del 4/4/18)