La cosa più singolare delle dinamiche congressuali del PD è che si ha la netta sensazione che l’unico che si è reso pienamente conto che il renzismo è finito sia lo stesso Renzi.
Per renzismo intendo quel progetto innovativo di modernizzazione del partito e della società italiana che Renzi ha incarnato negli ultimi anni. Che si fosse d’accordo o meno quel progetto ha rappresentato una sfida importante per la politica italiana e innegabilmente ha prodotto anche risultati positivi considerando la pesante crisi economica in cui si è trovato ad operare.
Piaccia o non piaccia e per una molteplicità di ragioni, quel progetto è fallito, come hanno decretato gli elettori, e non è più riproponibile. E non c’è dubbio che una parte non marginale delle ragioni del fallimento sia dovuta alla conflittualità interna del partito e alla pesante opposizione che la minoranza interna ha esercitato in tutti i modi fino ad arrivare alla scissione.
Renzi ne ha preso atto mentre buona parte del partito gioca ancora con gli occhi rivolti al passato.
Il PD, attraverso il congresso, dovrebbe “inventarsi” un nuovo progetto, una nuova visione, una nuova strategia, non solo in ragione del proprio fallimento ma anche in ragione dello straordinario successo degli altri che oggi guidano un governo con larga maggioranza.
E invece le aggregazioni congressuali si giocano tutte sull’antirenzismo e sul filorenzismo senza rendersi conto che quel gioco è finito sia per gli uni che per gli altri. E’ un gioco vecchio che riguarda vecchie appartenenze costruite su un disegno che non esiste più. Qual è la vera differenza politica tra Zingaretti e Martina se si guarda al futuro anziché al passato?
Chiedere a Renzi, come fanno in molti di candidarsi o di fare almeno direttamente o indirettamente il capo corrente significa non aver capito nulla dell’uomo, delle sue visioni, delle sue legittime ambizioni politiche ma anche del cambiamento del contesto politico. Non puoi chiedere a uno che è stato segretario del partito e presidente del Consiglio di fare il capocorrente di un partito minoritario. Ed è davvero deprimente vedere che i vecchi sostenitori della maggioranza di partito si trasformino oggi in una corrente senza capocorrente, si sentano completamente abbandonati, non sappiano come comportarsi in vista del congresso quasi non avessero mai fatto politica in vita loro.
Si dice che Renzi abbia in animo di lanciare a breve una nuova iniziativa politica. E’ possibile, probabile ed anche auspicabile vista la pochezza dell’offerta politica sul fronte dell’opposizione. E’ sempre più improbabile che l’intera componente progressista dell’elettorato possa riconoscersi in questo PD.
Ma se e quando questo dovesse avvenire sarà certamente qualcosa di profondamente diverso dal vecchio progetto e non riguarderà direttamente il PD come asse portante. Si vedrà.
Ma quello che vogliono sapere oggi iscritti ed elettori del PD è quale sarà dopo il congresso la visione, la strategia, il progetto, il programma del partito. Per questo votano gli elettori, non per questa o quella corrente. E vogliono un leader forte, capace, carismatico e non un burocrate qualsiasi.
Quando si confrontarono alle primarie Bersani e Renzi l’alternativa dei loro progetti e dei loro programmi, sia per il partito che per il Paese, era molto chiara. A oggi non si può dire altrettanto dell’alternativa tra Zingaretti e Martina. L’impressione è che prevalga una resa dei conti, il riposizionamento tra notabili e correnti e che solo dopo la fine del congresso si potrà parlare davvero di programmi e di progetti. E’ il classico caso, Michels insegna, in cui di fronte a una crisi pesante dell’organizzazione, il primato viene dato alla struttura e non alla strategia. Senza contare che i meccanismi tecnici potrebbero portare ad un risultato diverso tra le scelte degli iscritti al partito e le scelte di chi deciderà di votare alle primarie. Un risultato questo che trasformerebbe il nuovo segretario in un’anatra zoppa e darebbe al Paese l’idea di un partito sempre più debole e incapace di correggersi in funzione dei propri errori. Errori che vedono tutti tranne i dirigenti del partito.
Crozier sosteneva che la burocrazia è quell’organizzazione che è incapace di correggersi in funzione dei propri errori. Weber sosteneva che la burocrazia è una gabbia di ferro.
Michels, Crozier, Weber: si vede che nel PD amano i classici (probabilmente senza saperlo).
(già apparso su mentepolitica.it del 15.12.18)