La libertà non è star sopra a un albero

1968-2018: quest’anno ci tocca

Scriveva Alberto Arbasino, credo in “Fratelli d’Italia”, che una delle caratteristiche antropologiche tipiche degli italiani è il reducismo: tutti gli italiani sono sempre reduci di qualcosa, dalla guerra di Abissinia in avanti. Figuriamoci se potevamo passare indenni il cinquantesimo anniversario del mitico ’68. Fiumi d’inchiostro sono già stati scritti ed altri ne arriveranno prima della fine dell’anno e anch’io, nel mio piccolo, contribuirò alla commemorazione liturgica, limitandomi però ad un solo aspetto: l’ideologia della partecipazione o, meglio, il partecipazionismo, che del ’68 è figlio, ahimè, più che legittimo. Ovviamente lo farò come al solito “a modo mio”.

Il reducismo ha sempre due aspetti che andrebbero presi in considerazione.

Il primo è che la retorica dei reduci è quanto di più noioso si possa immaginare per chi non ha vissuto quelle esperienze di cui alcuni continuano a vantarsi (in quanto reduci). Personalmente amo i cori degli alpini che ho cantato fin da piccolo ma capisco anche chi viene colto da pesanti conati di stomaco appena sente intonare un canto degli alpini. Anzi, la retorica reducistica è talmente noiosa che allontana da sé chiunque, anche quando non sarebbe male che tutti conoscessero, senza mitizzarli, gli eventi di cui si parla.

Il secondo è che gli eventi magici del reducismo vengono decontestualizzati e assunti come valore universale anche per il futuro, il che è oggettivamente un errore storico. Qualsiasi avvenimento, soprattutto se di rottura, ha un significato rispetto al passato ma non è detto che abbia lo stesso significato nel futuro.

La Rivoluzione di Ottobre ha avuto certamente una valenza positiva in termini di progresso rispetto al latifondismo zarista; da qui a dire che il socialismo reale di Lenin e Stalin sia stato il migliore dei mondi possibili ce ne passa.

L’invasione della Russia nella seconda guerra mondiale da parte dei nostri alpini ha prodotto una retorica fatta di libri, commemorazioni, incontri annuali per molti versi commovente, visti gli enormi sacrifici di quelli che lì hanno perso la vita o sono tornati a casa dopo anni di prigionia. Ci si dimentica però che eravamo noi gli invasori; che ci siamo arresi praticamente senza combattere tanto eravamo male equipaggiati; che il popolo russo stava male quasi quanto i prigionieri di guerra. Senza contare che l’invasione della Russia da parte dei nazifascisti tedeschi e italiani ha rappresentato il più ampio e profondo sostegno allo stalinismo nonché un possente alibi per tutte le nefandezze compiute in suo nome.

Confesso che mi viene da sorridere quando vedo una giovane donna esprimere una qualsiasi posizione in qualità di presidente provinciale dell’ANPI (Associazione Nazionale Partigiani d’Italia). Per ragioni anagrafiche al massimo può sapere cosa sono stati i partigiani, se glielo hanno raccontato i nonni o se ha studiato un pò di storia. Pensare che questa Presidentessa possa far venire agli altri giovani la voglia di conoscere meglio cosa è stata la Resistenza in Italia mi pare davvero una pia illusione.

Ma veniamo finalmente al ’68.

Mi limito, in questa prospettiva, a reinterpretare una delle canzoni simbolo di quegli anni scritta e cantata da Giorgio Gaber: “Libertà è partecipazione”.

Cantava Gaber, nel ritornello diventato famosissimo:

La libertà non è star sopra un albero
Non è neanche il volo di un moscone
La libertà non è uno spazio libero
Libertà è partecipazione.

Passata la sbornia sessantottina sarebbe molto meglio cantare:

La libertà è stare sopra un albero

Ed è anche il volo di un moscone

La libertà è uno spazio libero

Libertà è non partecipare

 

La libertà è:

stare sopra un albero: ma anche in cima ad un monte, sulla riva di un lago o di un fiume, in mezzo al mare, ecc.

il volo di un moscone: ma anche di un aliante, di un aereo low cost, di una barca a vela, di un surf, di una moto, ecc.

uno spazio libero: dove ci sei solo tu, la tua donna, i tuoi figli, i tuoi amici veri, quelli che tu hai scelto per quel momento, ecc.

non dover partecipare: sempre e comunque; vivaddio l’umanità molto tempo fa ha inventato la delega e la competenza. La partecipazione è come il divorzio e l’aborto: sono diritti, non doveri e nemmeno obblighi morali, ai quali si fa ricorso al bisogno.

La libertà, nella Costituzione americana, è il diritto alla felicità, non alla partecipazione.

1 thought on “La libertà non è star sopra a un albero”

  1. Interessante ma provocatorio., come spesso sei nei tuoi messaggi.
    Stavolta la prospettiva che mi si apre non mi piace perché la possibilità di partecipare, per quanto la partecipazione sia a volte noiosa, anche la semplice illusione di farlo, riduce il senso di impotenza che attualmente invade le mie giornate.
    Guardare il mondo andare a rotoli e non poter fare nulla è la sensazione peggiore che uno possa provare: ci sarà pure una via di scampo…….

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