Molti sostengono che la Lega è il partito più vecchio, per anzianità aziendale, che siede oggi in parlamento. Falso. Il cambio di nome, il passaggio da Lega Nord a Lega e basta, non è stato una semplice scelta di comunicazione bensì una precisa scelta politica che ha portato ad un sensibile cambiamento di pelle il, presunto, vecchio partito.
La caratteristica fondamentale e comune a tutti i partiti a base territoriale (catalani, baschi, irlandesi, bavaresi, ecc.) è quella di auto-imporsi un confine geografico alla loro potenziale penetrazione sul territorio nazionale. La convinzione politica da cui muovono tutti, partendo da ragioni storiche, etniche, linguistiche o religiose, è che sia “meglio” concentrare la propria offerta su un territorio limitato ma tendenzialmente omogeneo quanto a valori e interessi, piuttosto che disperdere gli sforzi su un ambito territoriale molto più vasto, per definizione più variegato (l’Italia è lunga) e quindi più difficile da interpretare e rappresentare. Contando su una rappresentanza territoriale tendenzialmente egemone si possono poi stringere alleanze con i vincitori delle elezioni politiche generali.
La scelta di Salvini, tra l’altro visibilmente contestata dai padri fondatori, è stata quella di rompere il limite, di spostare quei confini che gli stessi padri fondatori avevano deliberatamente e consapevolmente imposto a sé stessi. Una vera e propria rottura che segnala la nascita di un nuovo partito anche se mantiene una qualche continuità (egemonia elettorale al nord) con il modello originario.
Una scelta che dimostra l’intelligenza (dal latino intus ligere) politica di Salvini che, da vero e autentico leader, solo contro tutti i suoi come fanno i veri leader, ha capito che questa era l’unica possibilità di “arrivare primo” nella coalizione di Centro Destra superando quel vincolo storico-strutturale che condiziona pesantemente l’azione politica di un forte partito tradizionale come la CDU bavarese. E i fatti, i voti, gli hanno dato pienamente ragione. Vale la pena soffermarsi un attimo su questi aspetti.
Innanzitutto Salvini ha dimostrato di essere un vero leader, a mio avviso l’unico nell’attuale panorama politico italiano, perché dimostra continuamente: forti doti carismatiche; una straordinaria sintonia con l’elettorato che conosce e capisce “d’istinto”; una visione di medio lungo termine; una notevole capacità di innovazione.
La visione di medio lungo termine è il “primato dell’Italia che lavora e che produce”: operai, commercianti, artigiani, piccoli e medi imprenditori, concentrati soprattutto nelle regioni del centro nord. Grandi lavoratori capaci di grandi sacrifici ma che chiedono a gran voce con Salvini il preciso riconoscimento del loro ruolo fondamentale a sostegno dell’economia del Paese, cosa che del resto riconoscono da sempre tutti gli economisti a qualsiasi scuola appartengano. “Fino ad oggi abbiamo delegato; adesso al governo andiamo noi”.
Quanto a “innovazione strategica” sempre Salvini non scherza. La Lega Nord di Bossi e Miglio aveva sostanzialmente in mente un diverso assetto amministrativo che premiasse il buon governo locale. Che si trattasse di macro regioni, di federalismo, di secessione la sostanza era sempre e solo una: “Se ci consentono di amministrarci autonomamente faremo certamente meglio dello Stato centrale che ormai è irriformabile”.
Salvini rilancia con “Lega Italia” e pretende di amministrare bene non solo le Regioni in cui la Lega è da tempo al governo, ma anche l’intero Paese, compreso quel sud che per decenni la Lega e lo stesso Salvini hanno sbeffeggiato in modi spesso coloriti.
La storia recente della Lega ci segnala anche un altro aspetto interessante di cui è il più rilevante indicatore. La Lega di Salvini è un partito vecchio che si trasforma in maniera così significativa da poter e dover essere considerato nuovo. Se ci pensate i partiti che negli ultimi anni hanno realizzato le più straordinarie e sorprendenti prestazioni elettorali, mi riferisco a Forza Italia e ai 5 Stelle, si sono presentati nell’arena politica come partiti veramente nuovi a tutti gli effetti. Prima del Berlusconi del ’94 non c’era nulla di simile anche se ha recuperato, però alle sue condizioni “ideologiche”, non pochi esponenti di vecchi partiti (socialisti e democristiani). Prima di Grillo non esisteva davvero nulla che potesse assomigliare a quel movimento che in tempi così rapidi ha scombussolato lo scenario politico nazionale. I partiti vecchi, e non solo in Italia, sembrano tutti destinati a declinare, e non solo quelli di sinistra, per una sorta di legge ferrea che riguarda il ciclo di vita anche dell’organizzazione partito. Alcuni, consapevoli in qualche modo della pregnanza della legge ferrea, cercano di correre ai ripari con aggiustamenti, modifiche, cambiamenti di nome, più di forma che di sostanza, in quanto non prevedono una radicale riformulazione della loro offerta politica, non intraprendono cioè quello che Richard Normann, grande consulente del secolo scorso definiva, con riferimento alle imprese, un “riorientamento della Business Idea”.
Al contrario Salvini, piano piano, sostanzialmente da solo, ha capito e deciso che la Lega Nord era finita, nel senso che non aveva più molte speranze di crescere e di sottrarre a Forza Italia la guida della coalizione. Mi pare sia l’unico caso, almeno per quanto riguarda l’Italia, e che accade anche nel mondo imprenditoriale, in cui un partito che nasce “piccolo” riesce a diventare grande. Al contrario di quanto molti credono anche nel mondo industriale le imprese “grandi” di oggi erano “grandi”, almeno relativamente, anche alle origini, nel momento in cui sono nate e sono state fondate.
Con riferimento a tutto l’arco costituzionale e alla recente storia politica d’Italia siamo abituati a considerare due solo possibilità: o l’apparizione di partiti veramente nuovi, rispetto ai quali dovremmo chiederci quanto il solo fatto di essere nuovi “spieghi” il loro sorprendentemente rapido successo, oppure a partiti che, grandi o piccoli che fossero alle origini, sembrano destinati inesorabilmente al declino, perché non più in linea con i nuovi tempi.
Il caso della Lega è un indicatore preciso di come il declino, o la piccola dimensione “quasi strutturale”, possano essere superati con un’accorta strategia politica che presta una nuova attenzione, intendendo in questo caso per nuova “non condizionata dalle lenti del passato”, ad un delicato nuovo equilibrio tra strategia e struttura, tra politica e organizzazione.
Il caso della Lega è dunque particolarmente interessante e meriterebbe ulteriori approfondimenti per tutti coloro che sono interessati a capire le caratteristiche essenziali dei partiti in quanto organizzazioni. Ma questo ci porterebbe troppo lontano. Per chiudere su questo punto vorrei solo ribadire che considerare la Lega il partito più vecchio del parlamento è, nella migliore delle ipotesi, una banalizzazione che non consente di cogliere la vivacità intrinseca e le difficoltà oggettive che tutti i partiti devono affrontare in quanto costrutti sociali che riflettono le dinamiche e le trasformazioni (turbolenze) di quella società di cui sono espressione e che aspirano a rappresentare e governare.
Il “problema specifico” della Lega … sono due.
Il primo, molto più delicato e impegnativo, è quello di capire al suo interno e di dimostrare poi con i fatti (provvedimenti legislativi) se il passaggio da Lega Nord a “Lega Italia” è stato un espediente tattico per prendere più voti e battere Berlusconi, oppure una scelta strategica che vuole superare definitivamente la contrapposizione tra la Padania e il sud del Paese. Anche per una forza politicamente disinvolta e rapida nel cogliere gli umori del paese non è poi così semplice passare dalla prospettiva della secessione a votare quel reddito di cittadinanza che, come sanno tutti, trasferirà in ogni caso risorse, soldi, dal nord al sud. Il sospetto che molti ancora nutrono che Lega Italia sia sostanzialmente un bluff, non è del tutto infondato anche senza volere essere pregiudizialmente cinici e sospettosi. Il vantaggio certamente per gli osservatori se non per i dirigenti del partito è che al prossimo giro, al governo, il bluff verrà visto non solo dai giocatori seduti al tavolo della politica ma da tutti gli elettori/spettatori, votanti o no per la Lega di Salvini.
Il secondo problema è quello che potremmo chiamare del consolidamento della capacità di governo. La Lega ha una lunghissima e solida esperienza di governo locale, dove ha dimostrato di saper governare senza alcun estremismo sostanziale: comuni, province e le più importanti e ricche regioni d’Italia. Un profondo radicamento sociale che qualcuno, lui stesso leghista di calibro, ha definito, ironicamente ma non troppo, di stampo leninista ma che significa, sostanzialmente costante e organizzato impegno sul territorio a contatto con la gente. La Lega Nord aveva anche maturato una significativa esperienza di governo nazionale con risultati ritenuti dai più quanto meno soddisfacenti se non, in alcuni casi, buoni.
La Lega Italia di Salvini deve però affrontare una nuova esperienza nazionale dove gioca, per la prima volta, un ruolo di assoluto primo piano nel governo del Paese, per di più insieme ad un partito nuovo senza esperienze consolidate di governo e che se, su alcuni fronti, dimostra sostanziali “affinità elettive” con la Lega, su altri ha posizioni diverse se non addirittura contrapposte. L’altra faccia della prospettiva nazionale, esplicitamente e pervicacemente voluta da Salvini, è quella del radicamento territoriale, storico punto di forza della Lega Nord, in un’area geografica ancora largamente sconosciuta da molti punti di vista, ed anche, fino a non molto tempo fa, sostanzialmente osteggiata.
Le questioni sulle quali “si parrà la vostra beltade” sono fondamentalmente due: quella del rapporto con l’Europa e quella sulla posizione nei confronti dei migranti.
Bisogna dire che Salvini ha fatto di tutto per costruire prima e per contrastare poi le accuse, spesso altrettanto propagandistiche, di anti europeismo e di razzismo.
Dal momento che, senza sorprendermi o scandalizzarmi, considero la propaganda sempre e comunque niente più che propaganda, vorrei ancora una volta attenermi ai fatti. Accusare la Lega di estremismo, al di là appunto della propaganda, mi sembra quanto meno eccessivo, visto che questo partito governa da decenni molte istituzioni pubbliche con modalità certamente non eversive.
Accusare la Lega di essere contro l’Europa, quando tutta la base imprenditoriale del suo elettorato vuole restare in Europa e non ha mai perso occasione di ricordalo ai suoi dirigenti, mi sembra una forzatura. La notoria brutalità del linguaggio di Salvini (qualcuno ricorderà sul versante opposto l’arguto eloquio, non sempre immediatamente comprensibile ai più, di De Mita), apprezzata peraltro da molti perché si capisce subito cosa vuol dire anche quando non si è d’accordo, mi sembra fare il paio con l’altrettanto nota antipatia di Renzi. Se passiamo dalla propaganda ai fatti le cose appaiono diverse. Una posizione critica anche forte di “questa” Europa è cosa che viene ormai espressa non solo dai sovranisti e non solo da larga parte degli italiani. Lo stesso rapporto con la Le Pen è destinato a ribaltarsi: adesso sono i francesi che hanno bisogni delle indicazioni di un vero vincente.
Accusare la Lega di razzismo quando i comuni e le ragioni amministrate da questo partito hanno integrato il maggior numero di extracomunitari che lavorano in Italia; quando gli imprenditori ricordano costantemente a Salvini che senza migranti dovrebbero chiudere le loro aziende; quando per la prima volta la Lega ha portato in parlamento un “vero” uomo di colore; quando nessun dirigente leghista ha mai attaccato per ragioni razziali altri popoli, limitandosi a dichiararsi disposto ad ospitare solo quelli che lavorano, si comportano bene e non mettono in pericolo i nostri costumi e le nostre tradizioni, mi sembra quantomeno un uso improprio di un termine che, simbolicamente e sinteticamente, esprime tragicamente ben altri valori, esperienze e pericoli.
Senza contare che a qualcuno dovrebbe venire il ragionevole dubbio che è proprio in virtù di queste posizioni che Lega Italia ha preso molti voti e molti ancora potrebbe prenderne.
Se, pur restando nell’ambito della propaganda, si riuscisse a passare dall’insulto/denigrazione alla contrapposizione ferrea ma ragionata e argomentata, non solo la stessa propaganda assumerebbe toni più civili ma, soprattutto, il confronto su questi temi potrebbe risultare meno divisivo. Il che non mi pare poco visto la natura e le implicazioni più generali che sinteticamente esprimono.
Farei un’offesa all’intelligenza e alla pazienza del lettore se adesso, in chiusura di capitolo, mi dilungassi sulla collocazione di questo partito rispetto alle diverse polarizzazioni che ormai conosciamo perfettamente. In questo caso tutte le variabili, esclusa quella “naturalisti” con riferimento alle grandi opere, si aggregano coerentemente nell’individuare Lega Italia come autorevole esponente dei Neo Conservatori Reattivi. Il fatto poi che gli stessi leghisti si dichiarino onorati di questa collocazione rende ancora più semplici le nostre conclusioni.